Questa storia è stata scritta per il Concorso di scrittura indetto da Sunjeon su Wattpad, del quale riporterò anche la votazione alla fine.
Il tema era il seguente: storia d’amore.

Matilde Ranieri: Autoritratto
Erano le labbra, decise alla fine del suo attento esame. Quelle labbra rosee e carnose che sembravano vive grazie alla maestria del pittore che le aveva dipinte.
Teo non se ne accorse, eppure rimase a fissare quella tela per più di venti minuti. Durante quel lasso di tempo spostò gli occhi con meticolosa attenzione su ogni dettaglio che andava emergendo dal volto che tanto lo aveva colpito.
I capelli neri, acconciati in una treccia imperfetta; gli occhi scuri che sembravano osservarlo a loro volta da dietro al vetro protettivo; l’espressione appena imbronciata che piegava le sopracciglia sottili, ma sopra ogni altra cosa le labbra. Sembravano così vivide che avrebbe voluto piegarsi e baciarle.
Il giovane si accorse di avere in effetti esagerato col suo esame quando il cartellino dell’accredito stampa, che portava legato al collo, ondeggiò troppo vicino al vetro facendo scattare il sensibile allarme della galleria d’arte. Solo allora si rese conto di aver fissato quel quadro con un’espressione quasi maniacale e si vergognò di se stesso sotto lo sguardo dei presenti, ora disturbati dall’ululato della sirena di sicurezza.
Si scusò con le guardie, sopraggiunte di corsa al sentire quel suono, e passò i successivi dieci minuti a spiegare il perché di quell’increscioso incidente. Anche durante il suo colloquio con la sicurezza, però, il suo sguardo continuava a saettare verso il bel volto, ora coperto da un folto gruppo di turisti che passavano con lentezza, guardandosi intorno. Sembravano quasi non notare quel dipinto in mezzo a tutti gli altri.
Una volta libero dalle raccomandazioni degli addetti alla sicurezza, i quali si allontanarono lanciandogli sguardi torvi, la sua attenzione tornò al quadro che tanto lo aveva colpito. Facendo ben attenzione a tenersi alla larga dal vetro, questa volta, si costrinse a esaminare anche il resto del dipinto.
Lo sfondo era un neutro drappo marrone, la donna era ritratta fino all’altezza della clavicola e indossava una semplice camicia di cotone, un paio di graziosi orecchini a forma di rosa e un fermaglio fermava la treccia nera che scendeva sulla spalla. Nonostante i suoi sforzi, però, anche quella volta la sua attenzione si concentrò sulle labbra. Così belle. Così invitanti.
Teo scosse forte la testa, cercando di tornare padrone di se stesso, e quando lo fece lo sguardo cadde sul piccolo cartellino che affiancava il dipinto.
Mentre gli altri che aveva letto riportavano, oltre al nome dell’autore e al titolo del dipinto, anche una breve descrizione, su quello erano stampate solo tre parole: “Matilde Ranieri: Autoritratto”.
Un brivido gli scese lungo la schiena nel leggere l’ultima parola. Quella donna esisteva davvero?
Una frenesia mai provata prima lo travolse e il giovane si guardò intorno febbrile, cercando una delle guide a disposizione degli ospiti del museo. Ne vide una impegnata a utilizzare il suo cellulare appartata in un angolo e la raggiunse, senza curarsi di tutte le persone a cui tagliò la strada con poco garbo.
«Mi scusi» chiese, attirando l’attenzione della ragazza, la quale fece subito sparire il telefono. «Sono un reporter della Gazzetta di Venezia, vorrei farle qualche domanda su quel quadro.» fece, indicandolo.
«L’Autoritratto? Certo, chieda pure!» lo incoraggiò la ragazza con un sorriso, adocchiando rapida il suo accredito per accertarsi delle sue parole.
«Questa è una galleria di arte contemporanea. La presentazione affermava che tutti gli autori dei quadri qui esposti sono tuttora in vita, può confermarlo?» chiese, avendo la prontezza di estrarre il telefono per prendere qualche rapido appunto.
«È proprio così» annuì lei. «Tuttavia non tutti gli autori hanno accettato di venire di persona a presentare le loro opere. L’autrice del quadro è tra quelli.»
«Non saprebbe dirmi quando è stato dipinto? Oppure dove? Tutti gli altri quadri hanno qualche indicazione in più» le fece presente il giovane, provando a guadagnarsi la sua simpatia con un sorriso.
Lei rispose con espressione affabile.
«So solo che è arrivato un paio di mesi fa, quando la mostra era già quasi del tutto allestita. Lo ha portato una donna anziana, dicendo che era qui per conto della pittrice. È stata molto gentile, ma si è trattenuta poco.»
Cercando di nascondere la delusione, Teo ringraziò la ragazza. Segnò tutto quello che gli aveva detto sull’app per gli appunti e si allontanò a passo mesto.
Con uno sforzo che gli risultò quasi disumano il reporter lanciò un ultimo sguardo al quadro, a quelle labbra stupende, e si allontanò. Visitò tutte le sale del museo, prese altri appunti e fece altre domande, eppure nella sua testa restava vivido solo il ricordo di Autoritratto, come se non esistessero più altri dipinti nella galleria.
Anche una volta giunto al negozio di souvenir alla fine del percorso, Autoritratto era ancora al primo posto nei suoi pensieri. Provò un moto di gioia quando lesse, su un piccolo cartello, che era possibile acquistare una riproduzione di ognuna delle opere esposte nel museo. Gioia che svanì quando, dopo aver cercato su ogni espositore, si rese conto che la copia che lui cercava era l’unica assente.
«Cercavi questo?» una voce familiare lo fece trasalire.
Nel girarsi, Teo si trovò davanti la ragazza della sala dei ritratti, quella che gli aveva dato le sue poche informazioni sul dipinto. Il suo turno come guida doveva essere finito, perché ora indossava la divisa delle commesse del negozietto, era a pochi passi da lui e gli tendeva una riproduzione di Autoritratto.
Persino stampate su una semplice cartolina, quelle labbra attiravano il suo sguardo come calamite.
«Oh, sì. Grazie.» riuscì a rispondere, uscendo dal suo stupore. La ragazza gli sorrise.
«Se ne compri tre le paghi solo cinque euro. Ti conviene!» disse, accennando alle cartoline alle sue spalle, per poi affrettarsi ad aiutare un altro cliente.
Alla fine Teo acquistò la riproduzione di Autoritratto, di una veduta molto bella di piazza San Marco in acquerello e una natura morta nella quale il pittore aveva inserito un telefono col suo caricabatterie, in un chiaro intento di protesta contro l’uso sfrenato della tecnologia.
Nel breve tratto in traghetto che lo separava dal suo bilocale vicino la stazione di Venezia, Teo non riuscì a staccare gli occhi dalla riproduzione di Autoritratto. Quasi perse la sua fermata e solo giunto a casa fu in grado di staccare gli occhi da quella cartolina, ma solo dopo averla appoggiata sul suo comodino.
Così come la strana ossessione per il dipinto era cominciata, il giovane sembrò dimenticarsene del tutto. Si preparò un pranzetto leggero, scrisse l’articolo sulla galleria d’arte contemporanea, guardò un po’ di tv e solo a mezzanotte passata andò a dormire, crollando esausto sul letto senza neanche togliersi i vestiti.
Fu allora che iniziò a sognare.
Si trovava nella galleria d’arte, nella sala dei ritratti. Il muro davanti a lui, però, era vuoto. Si rese conto che era perché Matilde Ranieri era ferma al suo fianco, gli teneva la mano e sorrideva.
Le bellissime labbra si incresparono in un’espressione di pura gioia e senza pensarci lui si chinò a baciarle. Fu come volare. Come se non esistesse più nulla al mondo se non lui, lei e il dolce contatto tra loro. Lei gli accarezzò i capelli e lui la strinse tra le braccia.
«Mi hai trovata! Mi hai trovata davvero!» sospirò Matilde, la testa appoggiata sul suo petto. «Ho aspettato così tanto che qualcuno mi trovasse!»
«Ti ho trovata.» assentì lui, il volto nascosto tra i lunghi capelli neri.
«Non lasciarmi.»
«Non lo farò.»
E invece Teo si svegliò, da solo nel suo letto, con il ricordo di un bacio e una riproduzione sul comodino in formato cartolina.
Era appena l’una di notte, aveva chiuso gli occhi per pochi minuti. Minuti che erano stati i più belli che avesse vissuto da mesi a quella parte. Da anni, forse.
Di scatto prese la cartolina e la rimirò con occhi appassionati prima di posarla con cura sotto il cuscino e tornare a stendersi.
Il sonno giunse dopo una lunga ora passata a girarsi e rigirarsi tra le coperte ormai sgualcite, ma Matilde tornò di nuovo. E quando lui si svegliò, madido di sudore, e tornò ad addormentarsi Matilde era di nuovo lì, in una serie di sogni che Teo riuscì a ricordare dall’inizio alla fine, come se quegli eventi fossero accaduti nella realtà.
Alla fine, quando il suo orologio ormai segnava le sei, il giovane prese una decisione.
Si alzò, si cambiò, fece una rapida ricerca su internet e, una volta trovato il numero di telefono della galleria d’arte, attese per quelle che gli sembrarono settimane che gli uffici aprissero.
Alle nove e cinque minuti fece partire la chiamata, sperando che qualcuno rispondesse.
«Museo di arte contemporanea, buongiorno, sono Rita. Come posso esserle utile?» a rispondere fu la voce ormai troppo familiare della guida, prestata al negozio di souvenir e ora, a quanto pareva, agli uffici.
«Salve, vorrei sapere se è possibile acquistare i pezzi che avete in esposizione.» disse Teo, tutto d’un fiato, il cuore che batteva all’impazzata in attesa della risposta.
«Al momento purtroppo no. Solo un quadro è disponibile per la vendita immediata!» rispose la voce, con tono cordiale.
«Autoritratto?» sperò Teo, stringendo il telefono, le nocche che sbiancavano dalla forza.
«No, Otto Calicetti. Il pittore è andato in bancarotta e sta vendendo tutto nella speranza di recuperare qualche soldo.»
«Oh, capisco.»
«Ma sei per caso il reporter del Giornale di Venezia?» domandò a quel punto la ragazza dall’altra parte del telefono. «Ti è piaciuto davvero tanto quel quadro, eh?»
Perché negare? Si chiese a quel punto Teo, stupito che la ragazza si ricordasse proprio di lui.
«Sono le pennellate. Sono davvero affascinanti, non riesco a smettere di pensarci.» ammise, tralasciando la sua ossessione per le labbra della stupenda Matilde Ranieri che ora aveva preso vita nei suoi sogni.
«Hai buon occhio, sai?» rispose la ragazza, con una risatina. «In tal caso, beh… non dovrei dirlo, ma tutti i quadri saranno disponibili tra un paio di mesi. Una volta che la mostra verrà rinnovata si potranno comprare.»
«Davvero?» la interruppe Teo, senza neanche rendersi conto di quanto suonava emozionato. «È sicuro?»
«Certo! Questi pittori dovranno più vivere di qualcosa, no? La galleria li espone e basta, sono in prestito!» spiegò lei, sempre più divertita dal suo entusiasmo. «Se mi lasci il tuo nome e numero di telefono, ti chiamerò appena Autoritratto sarà in vendita! Il prezzo dovrebbe essere un centinaio di euro circa!»
Teo chiuse la chiamata poco dopo, incapace di credere a tanta fortuna. Aveva lasciato i suoi dati a Rita e lei gli aveva detto di aspettarsi la sua chiamata in un paio di mesi, coi tempi della mostra. E pensare che quando lo avevano incaricato di scrivere quell’articolo si era anche lamentato, perché non voleva andare!
Quasi corse verso il suo letto, saltò sul materasso che aveva visto anni migliori e afferrò la cartolina da sotto il cuscino.
«Hai sentito? Un paio di mesi e staremo insieme per sempre!» disse, perfettamente cosciente di stare parlando alla riproduzione di un dipinto.
Quel giorno Teo andò a lavoro fischiettando, scelse di camminare invece di prendere il traghetto per tenersi in forma, mangiò bene sia a pranzo che a cena e tornò a casa pronto a una lunga notte di sogni con la sua amata Matilde.
Il giorno seguente, quello dopo e quello dopo ancora il giovane reporter ripeté quella routine che entro una settimana divenne imprescindibile. Era di umore migliore, mangiava meglio, si teneva in forma e trascorreva ore di deliziosa beatitudine con la donna dei suoi sogni, letteralmente.
A lavoro i colleghi non mancarono di notare il cambiamento nel suo umore e cominciarono a punzecchiarlo per scoprire chi fosse la fortunata, ma lui rispondeva sempre e solo di averla incontrata in una galleria d’arte e non si lasciava strappare una parola di più.
Intanto, durante la notte, i sogni che erano iniziati nella sala dei ritratti ora si erano spostati in giro per la città. In una Venezia dai contorni sfumati avevano passeggiato mano nella mano, attraversato i canali in gondola, giocato nella neve e bevuto cioccolata calda, ammirato le stelle e condiviso lunghi baci appassionati.
Matilde gli chiedeva sempre di non lasciarla e lui la rassicurava dicendo che non l’avrebbe fatto mai. Poi si svegliava, di nuovo da solo, eppure con un sorriso sulle labbra. Ormai spuntava i giorni sul calendario in attesa del giorno in cui la galleria avrebbe cambiato la mostra e messo in vendita i quadri, e quando finalmente il telefono squillò e la voce di Rita lo salutò dall’altro lato della cornetta lui quasi scivolò in un canale tanto era preso dall’emozione.
Era il sei di marzo quando, con centoventi euro in meno sul conto corrente e Autoritratto ben impacchettato sotto il braccio, Teo fece ritorno a casa.
Senza neanche togliersi sciarpa e cappotto il giovane si fiondò in camera, tolse il vecchio poster appeso alla parete sopra al letto e, dopo aver scartato con cura, appese il quadro proprio lì, sopra la testata.
Oh, come era stato sciocco a pensare che la cartolina rispecchiasse in pieno la bellezza di Matilde! Si perse ad ammirare le delicate pennellate, il vivido nero dei capelli e le labbra. Quelle labbra meravigliose!
Con estrema cura sfiorò la guancia sulla tela nel gesto più affettuoso che un uomo avesse mai compiuto e sospirò.
«Visto? Come ti avevo promesso, Matilde cara. Staremo insieme per sempre.»
Quella sera, dopo una gustosa cena, Teo non cercò neanche di distrarsi con la televisione. Si limitò a fare una doccia veloce, indossare il pigiama e mettersi a letto con un sorriso soddisfatto. La sua testa si adagiò sul cuscino e poco dopo il giovane si addormentò. Ma non sognò nulla.
Era notte fonda quando riaprì gli occhi, confuso. Qualcosa lo aveva svegliato. Un insistente grattare alla parete proprio sopra la sua testa. Nella scarsa lucidità che seguì l risveglio la prima cosa che gli venne in mente furono i cani del vicino. Poi ebbe la tragica idea di accendere la luce.
Fu allora che la vide.
Proprio sopra la sua testa, dove aveva appeso con tanta cura Autoritratto, una massa nera dalle vaghe sembianze animali era fuoriuscita per metà dalla cornice del quadro e faceva forza con le zampe artigliate per emergere del tutto.
Proprio sopra la sua testa.
Teo non ebbe il tempo di gridare. Non ebbe il tempo di pensare che avrebbe dovuto gridare. La massa nera girò il volto immondo verso il suo e latrò una volta, prima di avventarsi contro di lui, le fauci spalancate, due file di denti aguzzi che attendevano solo di chiudersi sulla sua carne.
Il giovane reporter morì così, nel suo letto, la cornice vuota di Autoritratto che faceva da muta testimone alla devastazione di sangue e stoffa che era ormai il suo letto, sul quale la creatura si aggirava ancora in cerca di qualche pezzo che le fosse sfuggito.
Quando il suono di mascella che sgranocchiava e tessuto che si strappava si placò, la finestra della camera da letto si aprì da sola, lasciando entrare il freddo dell’inverno e una figura vestita di nero.
Rita della galleria di arte contemporanea si guardò intorno, ammirando con gusto la distruzione portata dalla creatura in quella stanza.
Quando fu certa di avere tutta l’attenzione del volto immondo, la ragazza sorrise.
«Eccoti qui, amore di mamma! Allora, com’era la pappa? Hai il pancino pieno?» domandò, con la voce ormai tanto familiare al defunto Teo distorta da una irritante nota acuta.
In risposta, un suono come di fusa feline si alzò dall’ammasso nero sul letto.
«Brava la mia Matilde! E con questo sarai a posto per un altro annetto o due!» Rita tese una mano e la creature corse giù dal letto, strusciandole il muso sanguinolento sulle mani e sui pantaloni.
Per nulla indispettita dalla bava che ora la ricopriva, la ragazza grattò con energia nel punto in cui le orecchie della creatura spuntavano dalla testa deforme, ottenendo in cambio fusa ancora più rumorose.
«Allora, dove vogliamo andare adesso? Roma? Firenze?» chiese.
In risposta, ottenne un suono a metà tra un miagolio e l’urlo di una donna che veniva assassinata. Il sorriso di Rita si fece ancora più pronunciato.
«Parigi? Davvero?» fece, con finta sorpresa. «Très bien, ma petite. Lo sai che mamma farebbe di tutto per te!»
Un verso di puro piacere lasciò le fauci della creatura e con un’ultima grattata la ragazza si allontanò, lasciando Matilde a rotolarsi sul pavimento.
Stando bene attenta a non toccare nulla, Rita staccò la cornice di Autoritratto dal muro e tornò ad avvicinarsi alla sua piccola. Matilde aveva ancora solo cento anni, era la più giovane delle sue bambine e aveva bisogno di molte attenzioni, eppure nessuna era in grado di darle le soddisfazioni che le dava lei.
«Avanti, su, torna nella tela adesso! Ci aspetta un lungo viaggio e dobbiamo andare a vedere come stanno le tue sorelle!» la esortò.
Matilde, obbediente, scivolò con facilità oltre la cornice e tornò a prendere le sembianze della donna con le bellissime labbra che aveva suscitato l’amore e la rovina di decine di sfortunati uomini nel corso degli anni.
«Peccato, questo qui era anche carino!» sospirò Rita, lanciando un’ultima occhiata a quello che era Rimasto di Teo: solo sangue su lenzuola strappate e qualche ciocca di capelli.
Con una scrollata di spalle la ragazza saltò sul davanzale della finestra e saltò giù, la tela sotto braccio, lasciando che le tenebre della notte la inghiottissero.
Votazione finale: 50 su 50
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