La chiaccheratissima saga di Nevernight è giunta anche sulle pagine di questo blog! Cosa ci sarà da dire sulla trilogia di Jay Kristoff? Cliccate per scoprirlo!
Nevernight è quello che succede quando un australiano va a farsi un viaggetto in Italia, visita Roma e Venezia e poi va in fissa col Gladiatore.
È anche la prova che una figura genitoriale positiva può fare miracoli nello sviluppo corretto di una giovane ragazza e che non sempre prendere un gattino alla propria figlia è la scelta migliore.
Per finire, questo articolo è quello che succede quando la sottoscritta abbocca come un pesce allo spam spietato fatto da Oscar Vault sul suo account Instagram (e sanno davvero come fare le cose, perché tutti i libri sono andati esauriti a una settimana dall’uscita e sono già stati ristampati).
Come sempre, però, non perdiamo tempo inutile in convenevoli e lanciamoci a parlare dell’opera in questione!

Il fantasy è un piatto facile da digerire ormai, quello lo conosciamo e lo amiamo tutti. Ma se vi avvicinate agli Accadimenti di Illuminotte aspettandovi un flare tutto Tolkeniano allora già dal titolo del libro primo, “Mai Dimenticare” dovreste intuire che siete nel posto più sbagliato possibile.
Se le mie parole non vi bastano, eccovi qui quelle dell’autore stesso:
“La vittoria senza sacrificio non ha senso.”
Ora spero di avervi portato sui binari giusti. In Nevernight la gente muore, fa sesso, sputa, bestemmia, muore, impreca, vomita, decora il pavimento con le sue budella e soprattutto muore, ma lo fanno tutti con una deliziosa vena sarcastica, quindi si finisce per apprezzare anche il più turpe turpiloquio.
Jay Kristoff è uno di quegli autori che non riescono ad andare a dormire tranquilli se non hanno sottoposto i loro personaggi a tutte le sciagure possibili e immaginabili, ma gli si può perdonare anche questa se pensiamo al mondo variegato che ha creato con una maestria davvero ammirevole.
Ambientazione
In un mondo in cui tre soli splendono in cielo costantemente e il Verobuio arriva solo una volta ogni due anni e mezzo (ossia, tutti e tre i soli tramontano), la città di Godsgrave (la città di ponti e ossa… ricorda qualcosa, cari veneziani?) è il centro di una società fortemente ispirata alla Roma antica.
Tra domini, dominae, un console che si appropria del potere che dovrebbe condividere con un collega e arene per i combattimenti dei gladiatii, carnivalé in maschera e schiavisti che imperversano ovunque, l’autore inserisce un piccolo tocco steampunk e un po’ di magia qua e là, miscelando tutto in maniera eccelsa.
La trama (senza spoiler rilevanti)
Mia Corvere viene privata dei genitori e del fratellino dal console Julius Scaeva. Lei stessa si salva per miracolo e da allora, sotto l’ala protettrice di un uomo che le insegna come diventare un’assassina e di un gatto che non è un gatto, l’unico scopo della sua vita (e dei tre libri) sarà la vendetta. Vendetta contro i tre uomini che hanno sterminato la sua famiglia.
Nel corso dei tre libri la cara Mia si ritrova a uccidere, avvelenare e accoppiarsi con gente di ogni tipo, razza ed estrazione sociale, il tutto sempre in compagnia del suo caro Messer Cortese, il suddetto gatto, il quale abita nella sua ombra.
Spiegata così la trama è abbastanza lineare, ma ho promesso di non fare spoiler rilevanti. Vi basti sapere che lungo la storia si aggiungeranno, in ordine sparso: una confraternita di assassini, pirati, drachimarini molto affamati, un lupo fatto di ombre, assassini che vogliono assassinare gli assassini, gladiatori spietati, gladiatori un po’ meno spietati, schiavisti, accoliti non troppo svegli, rivelazioni inaspettate su parenti ormai deceduti, avvelenamenti vari, preti troppo devoti per il loro bene, stregoni, cicatrici e imprecazioni di ogni forma e colore.
Insomma, proprio una bella avventura.
I personaggi
Mia Corvere: La protagonista indiscussa della storia. Fuma, impreca, si taglia (male) i capelli da sola, ha tutto il talento per le pozioni che manca a Harry Potter e tutta l’irriverenza che manca a Percy Jackson. Non ha molte tette, ma questo glielo fanno pesare già abbastanza nel libro. Di solito compensa eliminando tutti coloro che le pestano il piede sbagliato. Poteva crescere come una giovane domina avvolta da lussi e servitori, invece è venuta su come un’assassina spietata. Grazie mille, console Scaeva.
Messer Cortese: L’umbragatto, il gatto che non è un gatto, il demonde d’ombra che di Cortese ha solo il nome, perché è una palla di irritante sarcasmo che Salem spostati. Inutile dire che non si può non adorarlo, soprattutto per le sue note a piè di pagina.
Tric: L’amichetto speciale di Mia. In realtà non sono proprio amichetti, e lui non sembra apprezzare troppo il suo atteggiamento in svariate situazioni, ma la giusta dose di ormoni può far sorvolare anche l’uomo più retto su simili questioni.
Ashlinn: L’amichetta speciale di Mia (non ci facciamo mancare nulla). Il suo gesto più rilevante all’interno della trama (forse) è tingersi i capelli. Ma solo quelli. Scommetto che vi state chiedendo come faccia a saperlo.
Trastullaporci: La mia nuova parola preferita dopo aver letto il primo libro.
La confraternita degli assassini: Vi stava antipatico Severus Piton? Ritenete la professoressa Cooman troppo sibillina, la Umbridge troppo stronza e la McGranitt troppo severa? Non avete ancora conosciuto gli insegnanti di Mia nella confraternita degli assassini. Dopo aver incontrato lo Shaiid Solis penserete che, in fondo, Voldemort non era poi una così cattiva persona. Si tratta di un uomo dalla simpatia… disarmante.
Mercurio: Maestro e pessima figura paterna di Mia. Prima la addestra per diventare un’assassina. Poi lei lo diventa davvero e lui se ne pente. Poi lui smette di pentirsene e se ne pente lei… insomma, un ciclo senza fine di rimpianti, tra i quali al primo posto c’è senza dubbio “avrei dovuto mangiarla, quella focaccina”. Incallito fumatore, ha un vero talento per dire le cose sbagliate al momento peggiore. Talento che Mia ha ereditato.
Aelius: Custode di una biblioteca in cui sono racchiusi tutti i libri che sono andati distrutti, tutti quelli che sono stati banditi e alcuni che erano troppo pericolosi per essere scritti. Insomma, il lavoro dei sogni!
Perché Neverwinter è così famoso?
Lo stile può piacere o non piacere. Stesso dicasi dei personaggi e della trama, ma Neverwinter ha un merito che proprio non si può negare: è un libro scritto a regola d’arte (se mai la scrittura ha avuto regole) ((ignorando le scene di sesso, che rasentano il ridicolo)) (((e l’abuso delle note a piè di pagina))).
Il suo più grande punto di forza è che ha ribaltato del tutto i canoni più classici del fantastico.
La protagonista ci viene presentata come non bella e anche se migliora il suo aspetto non diventa mai il fulcro della storia. I suoi poteri hanno più lati negativi che positivi, e non avendo nessuno che le insegna come usarli la ragazza zoppica da un tentativo all’altro senza nessun deus ex machina che piove dal cielo e le spiega come usare la sua magia. Viene voglia di prenderla a sberle più volte, in effetti.
Il mondo che circonda la storia ha i suoi effetti sia sulla trama che sulla popolazione. Se pensate che vivere in un mondo in cui il sole non tramonta mai sia figo, aspettate di rendervi conto di tutti i lati negativi.
La diversità etnica e culturale ha i suoi pesi, ma ancora di più rende la storia variegata senza che alcun elemento sembri forzato.
Nonostante ci si aspetti di veder morire un bel po’ di gente, nessuna morte è prevedibile o scontata, così come nessun gesto viene compiuto senza una logica consistente. I “buchi di trama” che si possono individuare sono per lo più dovuti all’ignoranza dei personaggi, quindi giustificati se non necessari, e comunque risolti quando si hanno i pezzi mancanti del puzzle.
Per finire, la fortissima nota sarcastica della storia rende un piacere leggere anche le note a piè di pagina. Il tutto acquista ancora più valore quando al terzo libro viene confermato di chi sia la voce narrante. (In realtà ha fatto malissimo, soprattutto ripensando a certi dettagli). Ma fino ad allora la storia fila tanto bene che non ci si pone neanche la domanda.
Ci sono, certo, alcuni passaggi un po’ noiosi, ma anche in quel caso l’autore trova sempre il modo di far sopravvivere il malaugurato lettore con qualche piccolo stratagemma, sia esso divertente, sanguinoso, sconcio o tutti e tre insieme.
Che ne dice Fros?
Personalmente credo che sia un libro da leggere assolutamente se il diverso non vi spaventa. Gli amanti del fantasy classico hanno pile e pile di libri tra cui scegliere, ma per gli autori che hanno preso più la strada Eddingsiana che quella Tolkeniana lo spazio sembra essere sempre troppo poco.
Kristoff ci mostra che in realtà pure con un po’ di sporcizia qua e là, con personaggi imperfetti e con toni più “bassi” si può raccontare una grande storia, in grado di tenere il lettore col fiato sospeso, di emozionare e di divertire allo stesso tempo.
Non è certo un libro per tutti. Stomaci delicati, menti sensibili e chi ha poco senso dell’umorismo farà bene a starne alla larga, ma per tutti gli altri lo consiglio, anche perché qualcosa di diverso fa bene a tutti, ogni tanto!
Voi cosa ne pensate? Lo avete letto? Pensavate di farlo? Questa recensione vi ha incuriosito o no?
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