Ossia, la storia di come ho trascorso il periodo che ho passato a Londra facendo la ragazza alla pari. Come è iniziato e come è finito.
Storie di vita vissuta
Come ho già accennato qui, qualche anno fa ho trascorso sette mesi della mia vita a Londra facendo l’esperienza della ragazza alla pari.
Di quel periodo non ho mai fatto mistero, raccontavo quello che mi capitava nel bene e nel male, e anche quando ho concluso l’esperienza non ho mai fatto mistero del perché, tuttavia penso che il blog si meriti un riassunto.
Partiamo dalle basi: quando mi sono iscritta al sito per au-pair ero sull’onda della disperazione nata e cresciuta a colpi di curriculum ignorati qui in Italia, quindi ero certa che non mi avrebbero mai chiamata. Una volta attivato il mio profilo, invece, mi hanno contattata (nel giro di dieci ore) ben tre famiglie che volevano un colloquio via Skype con me.
Taglio la testa al toro e scelgo la famiglia mezza italiana, perché, mi dico, metti che ho bisogno di qualcosa di importante e non riesco a spiegarmi? Prima di trasferirmi avevo una bassissima opinione del mio inglese, quindi ho optato per questa scelta. Per citare un grande filosofo dei nostri tempi, ERRORE FATALE. Ma andiamo con ordine.
Trascorro dapprima a Londra una settimana a luglio. Sono affiancata all’altra ragazza alla pari, quella di cui prenderò il posto a settembre quando lei andrà via. Questa ragazza cerca di mettermi in guardia, ma già conoscendola poco mi rendo conto che è una ragazza piuttosto sbadata, magari è per questo che sono così rigidi con lei? Non mi tiro indietro.
La famiglia è composta dai seguenti elementi: il padre, un signore nato nel centro Europa che lavora a Londra da anni. I due fratellini, due bambini spaventosamente educati che a otto e sei anni parlano già più lingue di me, e poi ovviamente c’è la madre.
Ora, io sono la prima a dire che non mi piacciono gli stereotipi, che non siamo tutti uguali, che non tutta la gente del nord è cattiva e così via, ma la madre dei bambini è uno stereotipo con le gambe.
Ligure, cresciuta in provincia di Milano, è talmente taccagna che Paperon de Paperoni quando la vede si inchina e talmente saputella che pure Topolino Perfettino la prenderebbe a schiaffi ogni volta che apre la bocca.
Tra le tante cose che non andavano, oltre a cercare sempre di farmi pagare la benzina della macchina che non usavo, mi sbolognava un sacco di mansioni che non erano mia competenza e si permetteva pure di fare commentini sardonici sulla mia vita privata.
Il primo sabato sera che ho trascorso a Londra, il padre tutto contento ha preparato una cena chiedendomi di sedermi a mangiare con loro e i bambini, cosa che ovviamente mi ha fatto piacere. Lei ha fatto in modo che fosse chiaro come la mia presenza a tavola con loro non era gradita e che da quel momento in poi era il caso che mi accontentassi di mangiare da sola, oppure alle sei di sera coi bambini.
A questo punto ne avrei avuto già abbastanza per chiamare l’associazione che gestisce il sito e farla bannare a vita, con tanto di obbligo di pagarmi il biglietto per tornare a casa immediatamente, ma non l’ho fatto. Alla fine vedevo questa donna meno di trenta minuti in totale ogni giorno e non sono mai stata tipo da cedere alle pressioni psicologiche.
Tolta lei e il suo punzecchiarmi sul perché stessi sempre a casa la sera (e dove dovrei andare se qui ci sono solo pub e io non bevo?) la mia esperienza a Londra è stata positiva. I bambini erano facili da gestire, i loro orari non troppo impegnativi, ero a poca distanza dal centro e nella mia zona c’erano un sacco di parchi e una pista di pattinaggio, un cinema e un Primark. Insomma, il paradiso.
O così pensavo, prima di rendermi conto che con cento sterline alla settimana a Londra puoi fare gran poco. Tenete presente che anche senza fare spese mi bastavano giusto per andare a farmi un giro nel week end e mangiare qualcosa al volo. Poi beh, a Londra tra Waterstone e Paperchase non esiste che io vada a farmi un giro senza fare spese, quindi il risultato finale è piuttosto ovvio.
Di contro, pensate che una ragazza che conoscevo mi raccontava che lei con cento sterline non poteva neanche permettersi di andare il sabato sera a ballare o bere qualcosa, perché tra ingresso al locale e drink non le restava nulla.
Un minuto di silenzio per la sua vita di forzata sobrietà e passiamo avanti. Cosa facevo a Londra quando avevo del tempo libero?
Uscivo. Sempre. Dove abito sono praticamente una reclusa. Qui intorno non c’è nulla, non ho mai voglia di uscire perché tutto quello che vedrei sarebbero campi e palazzine. A Londra avevo parchi ovunque quindi ero ospite fissa delle panchine. Che fosse il parco del mio quartiere o Hyde Park stavo sempre lì a fare la mezza artista disastrata che sta sulla panchina a leggere mattoni polacchi di scrittori minimalisti morti suicidi giovanissimi o a buttare giù qualche appunto per delle storie.
I parchi lì sono abbastanza tranquilli, e la pace riusciva quasi a farmi dimenticare che ero lì perché non potevo permettermi di stare da nessun’altra parte compresa la casa in cui abitavo perché il rischio era di dover interagire con quella donna.
Volevo anche fare un corso di lingua, ma come mi hanno detto dopo avermi fatto fare il test per l’iscrizione il mio livello era troppo avanzato per i corsi che avevano nell’unica scuola che avrei potuto frequentare. Avevo decisamente sottovalutato il mio livello di inglese.
In realtà il piano era semplice: stare lì un annetto, trovarmi un lavoro vero, dire sayonara a quella casa e trovarmi un posticino in affitto (a Londra, ridiamo tutti insieme) per stare per conto mio e fanculo anche alla Brexit.
La madre demoniaca, però, era in agguato.
Arriva gennaio, torno dalle ferie e costei mi prende da parte, informandomi che da questo momento ha intenzione di dimezzare il mio stipendio e i miei orari perché, testuali parole “dopo sei mesi faccio così con tutte le ragazze, per spronarle a trovare la loro indipendenza. Se non vuoi possiamo sempre riparlarne!”
Sul momento mi sembra una cosa logica. Se mi riduce l’orario posso anche trovarlo un lavoretto part time, che male c’è? Beh, innanzitutto che lei mi ha ridotto l’orario ma non le cose da fare, quindi anche se su carta avevo solo cinque ore da dedicare alla casa e ai bambini mi trovavo comunque a farne otto, tale e quale a prima.
Con gli orari che dovevo seguire per stare dietro ai bambini non c’era nessuno disposto a prendermi a lavorare part time. Ho portato curriculum ovunque, sono anche stata richiamata, ma purtroppo nessuno era disposto a prendermi con le limitazioni che avevo.
Le ragazze prima di me se la cavavano perché alcune erano andate a fare i turni notturni nei pub e altre sempre i turni notturni come assistenza ad anziani o bambini di altre famiglie, ma i turni notturni non hanno mai fatto per me. La prendo quindi da parte e glielo spiego. La sua risposta:
“Sei tu a non essere abbastanza flessibile. Io lo stipendio intero non te lo do più, devi arrangiarti e gestirti meglio il tempo che hai a disposizione. Che vuoi fare sennò? Tornartene a casa?”
Ecco, questa è una cosa che a me non va detta mai. Perché poi mi incattivisco, mi sale il “’mo ti faccio vedere io” e nel giro di una settimana sono su un aereo che mi riporta in Italia con tutte le mie cose, la magia è finita e si ricomincia a mandare curriculum mentre lei si mette a fare la despota con una nuova ragazza alla pari.
Cosa ho tratto da questa esperienza?
1- Se dovete andare a Londra a fare le ragazze alla pari andate da famiglie inglesi. Non da italiani inglesizzati. Soprattutto non se sono stereotipi con le gambe.
2- La guida a destra è più facile di quello che sembra, soprattutto quando superi la fase in cui cerchi il cambio delle marce nel finestrino e ti ricordi che ora sta a sinistra.
3- Non avventuratevi per Londra facendo affidamento sulle mappe che appaiono agli angoli di ogni strada. Mi sono persa talmente tante volte che non so com’è che sono ancora viva.
4- PizzaHut è un valido sostituto in caso di emergenza, ma la città è piena di pizzaioli italiani. Basta seguire il naso e le canzoni neomelodiche,
5- Se qualcuno vi dice “Fatti l’assicurazione facoltativa, così se i bambini rompono qualcosa in casa diciamo che sei stata tu e non dobbiamo ripagarlo noi”, voi non fate l’assicurazione facoltativa.
Detto questo: tornerò a Londra come turista? Assolutamente sì. Tornerò a Londra per lavoro? Perché no se sorge l’occasione? Tornerò a trovare la mia vecchia famiglia? Considerando che sono stata salutata con e parole “Fatti sentire, teniamoci in contatto o poi i bambini ci restano male”, che ho provveduto a mandare una mail alla settimana per più di un mese e che a nessuna di queste mail è stato mai risposto, direi proprio che non è il caso.
Per fortuna che tra me e certe persone c’è la Francia.
Una bella avventura che non conoscevo, in realtà hai fatto bene ad andartene! Poi i riferimenti a AGG sono sempre graditi e adoro il tuo modo di raccontare (te l’avrò detto almeno cento volte)
Prendo nota, nel caso dovessi andare a Londra. Ma prima c’è Parigi, c’è sempre Parigi.
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Ho avuto occasione di andare a Parigi almeno tre volte e ho sempre rifiutato… Non è proprio la città che fa per me ><
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